Sembra che in Islanda ci sia la tradizione di regalarsi dei libri per la vigilia di Natale e trascorrere il resto della serata leggendo.

Se anche noi avessimo questa bellissima tradizione, ho pensato che il libro che avrei regalato quest’anno un po’ a tutti, sarebbe stato senza dubbio “I miei stupidi intenti” di Bernardo Zannoni.

Racconta di Archie, una faina che nasce e cresce in una condizione animale (regolata dalla natura e dalla legge del più forte) ma che si distingue per la spiccata sensibilità, quasi umana, che a dirla tutta non lo aiuta affatto a sopravvivere.

Un giorno fa un incontro che gli stravolge la vita: la vecchia volpe Solomon gli fa scoprire “la parola”, questo strumento potentissimo con cui poter costruire narrazioni diverse e provare a dire un senso della vita (ognuno il suo). 

Con la parola, Archie incontra anche il concetto di Dio e quello del tempo. 

Il tempo inizialmente gli sembra “amico” perché gli permette di dimostrare i suoi sentimenti, l’amore in primis (distinguendolo dal semplice istinto sessuale) ma da un certo punto in poi il tempo si trasforma solo in un malinconico conto alla rovescia. 

Ah, quanto ho amato Archie, e i suoi stupidi intenti, umani troppo umani!

Questa faina che desidera con tutte le sue forze farsi uomo, anche quando comprende la fragilità di questo stato: perché la consapevolezza dello scorrere del tempo porta con sé anche la conoscenza della solitudine, della perdita, dell’instabilità, della paura. 

Ma lui non si pente del suo percorso di conoscenza perché nonostante tutto, conoscere è un’avventura meravigliosa, sentire è stratosferico, sperare eccitante, pregare potenziante.

Il libro finisce come deve finire, ma terminata l’ultima pagina , la sensazione che mi è rimasta in circolo per un bel po’ è’ stata dolce-amara ma in fondo piacevole, perché in fin dei conti evviva questa nostra fragile vita ed evviva tutti i nostri stupidi intenti con cui proviamo a riempirla ogni giorno di senso e di bellezza.

Buona vigilia! 🎄✨

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